notizie

23 maggio 2008

la musica nel mondo delle immagini

claudio ambrosini visto da caterina skerl

Che cosa l’ha spinta in quegl’anni a dedicarsi all’arte figurativa: è stato l’esigenza di esprimere la sua creatività e la sua passione per la musica cercando di “farsi strada” attraverso canali alternativi, oppure ha frequentato l’arte visiva in modo indipendente rispetto alla musica?

Il mondo delle immagini mi appartiene per nascita. Con un padre pittore ed un nonno scultore ho potuto respirare sin da piccolo tutto ciò che di arte mi accadeva intorno.
In questa cornice artistica mi sono cimentato molto presto in esperienze scultoree, e più tardi mi sono avvicinato a un altro tipo d’espressione che è la fotografia.
La mia permanenza, negli anni ‘70, nel mondo delle gallerie, che ho sempre visto come una forma di esilio dorato, dipendeva proprio dal mio interesse per la musica. In quell’epoca lavoravo molto e al massimo livello di capacità grafica che sapevo esprimere. La musica era il centro dei miei lavori visivi: la scrittura della musica, lo spazio sonoro, il collegamento con la musica del passato, i riferimenti ad autori come Beethoven o Chopin che venivano rivissuti in termini di immagini, di spazio o di video.
Pur avendo una natura di musicista, la sperimentazione visiva è stata una stazione nel percorso interiore che è tuttora in evoluzione e che oggi mi porta in altre “stagioni” creative, proiettate in dimensioni diverse e in un certo senso più complesse. Mi sto occupando del problema della scomparsa delle lingue nel mondo, che sarà infatti l’argomento della prossima opera lirica che scriverò e che riprende anche gli interessi linguistici che sono stati il nucleo della mia formazione universitaria.

Il percorso artistico presentato nella mostra triestina riguarda sperimentazioni e ricerche sempre di stampo musicale. Dunque la musica è il punto di partenza. Mi incuriosisce sapere proprio se le esperienze figurative degli anni ’70 hanno influenzato a loro volta le successive ricerche musicali arricchendone l’originalità d’espressione?

Per una decina d’anni ho continuato a lavorare nell’ambiente dell’arte. La musica mi dava le idee e mi faceva realizzare progetti e spartiti che contenevano spesso degli elementi estranei alla prassi normale della musica. Uno dei primi pezzi musicali che ho scritto e che è stato presentato in una galleria, prevedeva, per esempio, l’uso del flauto, del clarinetto e di piante che, immerse nell’acqua, producevano dei suoni. Le piante evocavano il tema della foresta che mi interessava in relazione alla storia di Eurialo e Niso ed erano generatrici di suoni nei quali il flauto e il clarinetto si perdevano…
Le mie proposte di matrice musicale non trovavano facilmente sbocco allora in una sala di concerto tradizionale, ma venivano accolte immediatamente in ambienti legati all’arte che a quell’epoca sperimentava la performance, le installazioni, la land art e il video.
Quando il mondo della musica ha cominciato ad invitarmi a fare delle cose come compositore, pur concentrando tutte le mie forze sulla produzione musicale, ho proseguito la ricerca collegata con lo spazio, il video, la fotografia, travasandola nelle opere musicali, per esempio nelle opere che usano il video.

Mi può parlare degli spazi e delle opportunità che ha incontrato a Venezia in quegli anni?

A Venezia c’erano due spazi molto importanti e disponibili. Uno era la Fondazione Bevilaqua la Masa – esiste tuttora – una struttura specificamente dedicata a dare spazio ai nuovi artisti. Nella mostra annuale che organizza, una commissione seleziona le opere e nomina i vincitori (anch’io una volta ho vinto) che vengono premiati con una mostra personale. L’altro spazio era la Galleria del Cavallino di Venezia, galleria importantissima per la scoperta degli spazialisti, dove è praticamente nata la pittura informale italiana, che aveva collegamenti con tutto il mondo. La Galleria produceva i video d’artista, come casa di produzione intendo. Questi video venivano richiesti poi nei festival di quegli anni in Australia, America, Inghilterra.

Da una conversazione con Claudio Ambrosini di Caterina Skerl (maggio 2008)