programma

dal 23 Febbraio al 5 Aprile 2008

gloria mundi

laura zicari
trieste, studio tommaseo

Daniele Capra
Gloria Mundi. Laura Zicari

Testo
Pittura sartoriale. Potrebbe essere questa una definizione dell’opera di Laura Zicari che permetta di cogliere nel segno tanto l’aspetto formale quanto quello procedurale. Da un lato infatti, pur avvalendosi di materiali non propriamente pittorici e nonostante l’abitudine dell’artista di posarli a terra, i suoi lavori sono strettamente bidimensionali, collocabili a parete, e fruibili frontalmente da parte dell’osservatore; dall’altro il suo modus operandi implica una stratificazione di elementi, di livelli visivi successivi che, sovrapponendosi, si integrano fino a ad essere compiutamente allestiti.
Non si tratta ovviamente di pittura da cavalletto, nel senso più tradizionale ed accademico: il lavoro di stesura del colore non è svolto verticalmente e non è la tela, bensì la carta da pacchi, il supporto scelto. Bastano questi due elementi per farci capire la predilezione dell’artista per la pratica orizzontale del disegno, su cui ha ovviamente influito il lavoro quotidiano di ritrattrice anatomica presso l’Università di Trieste. E proprio la frequentazione dell’anatomia è centrale anche per capire il ricorrere nei suoi lavori di scheletri e teschi (siano essi disegni o riproduzioni in plastica aggiunte sopra la carta), in bilico tra dettaglio realistico e macabro memento mori barocco. La compresenza di mimesi pittorica ed elementi reali(stici), tra quali anche pezzi di tessuto, sostanzia così gli effetti finali di una pittura contemporanea “che ha a che fare con lo sviluppo della dimensione tattile delle cose, delle relazioni plastiche dei materiali che ―grazie alla forza che questa relazione offre per il continuo feedback tra materia e sensazione― è anche modo per spingere indirettamente l’osservatore a prendere parte attiva, anche se solo dal punto vista immaginifico, nella maniera più viva”.
La sua pittura-collage può invece essere interpretata, nella sua strutturazione, come il processo attraverso il quale il corpo nudo ―il suo disegno su carta― viene progressivamente vestito, per essere infine preparato alla vita pubblica secondo le funzioni ed i ruoli assegnatigli dalle convenzioni. Ecco così che alla superficie oggetto dell’intervento pittorico si sommano pezzi e ritagli di veri abiti, di cappelli, ma anche croci e gioielli di bigiotteria.
La confezione finale avviene con l’aggiunta di veli di plastica, riproduzioni di cornici, ma anche fiocchi e nastrini, concludendo cioè la realizzazione della veste con i dettagli più spiccatamente scenografici. La consuetudine di allestire le opere con questi elementi spiega inoltre la necessità e la preoccupazione di dare forma compiuta ai lavori, di autenticarne lo status, e perfino di darne protezione. Il loro essere a strati ma portabili, ripiegabili e facilmente collocabili in una borsetta (non esiste telaio), spiega invece la necessità dell’artista di avere sempre con sé la propria produzione, in una forma a metà strada tra nomadismo culturale e attaccamento feticistico. L’effetto finale, secondo una prospettiva di ibridazione, è quello di un combined painting in cui l’interazione pittura-realtà ―dal disegno alla cornice― giunge ad essere finzione inaspettatamente credibile.

Pre-testo
Ne L’Idiota Fëdor Dostoevskij si chiedeva se la bellezza potesse salvare il mondo, possiamo stare certi che non sarà il mondo episcopale alla rovescia ritratto da Laura Zicari a farlo, troppo impegnato nella celebrazione della gloria mundi. Un mondo di cui l’autrice smaschera la smodata attenzione per i riti e gli abiti, per gli aspetti più esteriori e formali, portando all’epilogo visuale la smodata presenza mediatica cui i recenti papati hanno fatto ricorso, in un momento caratterizzato da forte aggressività ed invadenza religiosa nella vita civile italiana. Ricordano le sue figure, nella pompa fuori luogo dei conclavi in Cappella Sisitina (che lei sbeffeggia in chiave pauperistica con le figure di cardinali che pregano di fronte al collage degli affreschi michelangioleschi), Li soprani der monno vecchio del Belli, intenti a gestire il potere nella loro divina indifferenza, primi attori di una religione che è quasi solo teatro.
E se ad affascinare l’autrice sono così i fasti della liturgia della chiesa romana della Controriforma, il tripudio barocco viene però da lei riproposto in versione critica, paradossale, postmoderna, esattamente al contrario dei dettami conciliari tridentini secondo cui le figure dovevano essere “fatte con somma honestà et gravità, […] et ogni atto, giesto, garbo, movenza et drappi siano […] pieni d’ogni divina gravità et maestà. Che tutto il scoppo et ogni cosa che vi si farà, tenda a provocare ogni somma divottione et motti divini ne li animi”.