Trieste Contemporanea novembre 2001 n.8
 
La nuova attivita' della rassegna veneziana
Il fenomeno dei "senza-padiglione"

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di Giuliana Carbi

Partire dalla Biennale di Venezia per discutere questi temi era “dovuto” alla rassegna veneziana, evento molto particolare dove più che altrove si manifestano le frizioni che anche nell’arte si soffrono tra appartenenza culturale (e i conseguenti modi propri e impropri di rappresentare un’identità comune) e internazionalismo globale (con il prezzo che comporta il funzionamento del suo sistema). La formula veneziana di “compezione” dell’arte delle nazioni, immutata da più di un secolo, rimbalza dunque ad attualità potentissima se si pensa che fa camminare - o piuttosto zoppicare - insieme l’unità “separata”del padiglione con l’ “apertura di dialogo” del confronto internazionale. Se infatti la rassegna a tema, forse non con la potenza e il consenso di altre platee internazionali, fa comunque l’attualità della Biennale, vero è che questa si risolve in un grande evento mondano perché la fiumana mondiale di addetti ai lavori che assedia i Giardini nei giorni della pre-apertura vi confluisce a tutt’oggi soprattutto per il grande circo del confronto qualitativo dei padiglioni, mettendosi in coda sotto la canicola e chiedendosi reciprocamente ad esempio “sei stato in Germania?” e non invece hai visto il lavoro di Gregor Schneider.

Essere presente alla Biennale veneziana, anche semplicemente come artista nel proprio padiglione nazionale, sembra valere molti punti della raccolta per vincere la “partecipazione” al sistema internazionale e l’esubero, nella lista d’attesa compilata dai paesi che non possiedono ancora un padiglione ufficiale (nell’ultimo decennio affollata dai paesi europei orientali e recentemente costipata da quelli asiatici) ha determinato nei paesi “esclusi” la necessità di forzare le tappe fino ad espandere la rassegna-vetrina in tutta la città lagunare, nei posti più impensabili, visti i prezzi della città, al punto di occupare le fondamenta dei palazzi, le chiese tuttora consacrate, ma anche le abitazioni private o gli spazi virtuali dilatatissimi di un piccolo monitor. Mai la rassegna ha registrato un record di presenze come quest’anno. La frenetica auto-organizzazione degli stati senza padiglione ha in un certo qual senso fatto sfuggire di mano la Biennale alla istituzione che la governa perché, oggi, la vitalissima e originalissima forza dell’iniziativa veneziana, riconosciuta così, dagli operatori stessi, “platea dell’umanità” in senso vero e proprio, è il fenomeno dei senza-padiglioni e il punto focale è la voglia di visibilità internazionale di questi paesi.

Il motivo risiede forse nel passato che ha visto proprio nei paesi dell’est coesistere, in violento contraddittorio, una esasperata rappresentatività artistica di stato e un’altrettanto esasperato e sacrosanto fermento sperimentale underground dissidente? Da alcuni è stato rilevato che la caduta della tensione una volta necessaria a far comunque passare il proprio messaggio in quei regimi, aggirando l’ostacolo della censura, ha significato una perdita di creatività. Ma vero è anche che le generazioni più giovani hanno saltato a piè pari il senso di aporia tra preservazione dell’identità tradizionale e internazionalismo, che divide ancora la generazione a loro precedente, e si sono subito dedicate alle nuove tecnologie e adeguate ai nuovi sistemi di visibilità, ignare dell’euforia di scoprire oltrecortina i nuovi metodi che già conoscevano... Ed è altresì vero che, forse a causa del punto di vista molto diverso o forse semplicemente perché il cambiamento è avvenuto troppo in fretta, i nuovi artisti, pur dediti all’applicazione del nuovo all’interno dell’internazionalità condivisa, sanno di esprimere quello che vogliono dire con forza eccentrica, forse più autentica, rispetto a quella dei loro altrettanto giovani colleghi esperti. La affascinante ricchezza di questo molteplice e contraddittorio panorama culturale, che sta acquistando consapevolezza oggi, nel bene e nel male, della crescita dell’interesse che, per la prima volta, può essergli rivolto in ambito internazionale, dovrebbe essere studiata più a fondo. Perché il punto focale è che anche la loro nuova ricerca di visibilità è già coatta dal sistema della scena internazionale secondo precisi parametri. Tuttavia il vicino paragone della situazione per così dire “germinale” di questi paesi, nei quali si può ad esempio vedere ancora un idea curatoriale alternativa di territorio dell’arte, ci conforta che siamo ancora in tempo per discutere i criteri che informano questi parametri: è assolutamente importante e urgente per noi tutti.

Dal convegno si è intuito, forse per la prima volta chiaramente, perché.
Il dossier è dunque organizzato per domande, tuttora aperte.
 
 

 

 
 
 
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