Trieste Contemporanea settembre 1998 n.5
 
Vincenzo Broi
Imre Makovecz, architetto naturale

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"E' importante che l'architettura si sviluppi non soddisfacendo il suo narcisismo storico o limitazioni generiche, ma dando forma ad uno spirito universale". Imre Makovecz

Il movimento dell'architettura organica ungherese si esprime attraverso le opere di lmre Makovecz, che si basano sulle teorie di Frank Looyd Wright, Bruce Goff, Herb Green, Alvar Aalto e soprattutto sulle idee antroposofiche ed euritmiche di Rudolf Steiner. Un'architettura che nasce da presupposti internazionalisti ed affonda le proprie radici nella cultura tradizionale ungherese. Simboli della cultura (il tulipano presente nella tradizione turca), simboli animali (il falco), simboli religiosi (la luna ed il sole), simboli umani (le finestre adoperate come occhi), vengono utilizzati e reinterpretati in chiave nuova ed innovativa. Nell'architettura organica ungherese, oltre alla radice intemazionalista, si inserisce una componente storica dove risulta determinante l'apporto di architetti come Kós Károly ed Ödön Lechner. Le opere di Makovecz costituiscono un elemento di congiunzione e di sovrapposizione tra modernità  e tradizione. La forma dei suoi edifici non ricalca i principi classici della geometria euclidea, ma attraverso una rilettura e reinterpretazione attingono al ricco bagaglio simbolico della tradizione ungherese, perseguendo un connubio tra passato e presente. L'utilizzo di un materiale particolarmente conosciuto nel panorama nazionale come il legno, conferisce agli edifici un aspetto tradizionale, in un contesto sociale moderno ed in rapida trasformazione. Il richiamo alla natura è un elemento costante nelle realizzazioni di questo architetto: aperture contornate da disegni naturali (forme di rami ed alberi), disegni di foglie, simboli di vita che riconducono all'aspetto più selvaggio dell'architettura. Lavorando intorno ai segni ed ai simboli dei motivi ornamentali della tradizione popolare, Makovecz scopre le particolari caratteristiche della simmetria che la spirale genera sul piano e nello spazio, demarcando superfici complementari, uguali e contrapposte, dove con riferimenti asimmetrici vi è anche richiamo al movimento.

Egli sottolinea il rapporto che lega segni e concetti anche dimenticati dalla vita dell'uomo. Una metafora della vita e della morte in cui l'architettura diventa strumento di comunicazione che va oltre i tradizionali canoni stilistici.

Nella progettazione dell'Auditorium Stephaneum (in costruzione) dell'Università  Cattolica di Piliscsaba, Makovecz riprende i motivi dell'architettura classica e rinascimentale, dove il disegno delle torri, oltre a ricordare le torri campanarie in legno della pianura ungherese, riportano nelle facciate i motivi dominanti del classicismo (Piranesi e Francesco di Giorgio Martini).

L'Auditorium è un complesso architettonico il cui nucleo è contornato da alberi non più in legno, ma in cemento armato, con una sostanziale rilettura del binomio tempo-materia. L'apporto di questo architetto ha prodotto un elemento di differenziazione metodologica ed ha realizzato una frattura storica con quella che è universalmente riconosciuta come l'epoca dell'architettura moderna. La radice etnica nelle sue opere è meno visibile e profonda rispetto ad un tempo, anche se rimangono tuttora visibili, spero per altri anni ancora (alcune delle sue opere presentano un stato di fatiscenza e di abbandono), i lavori che hanno permesso la nascita di una corrente architettonica e culturale di notevole spessore artistico, progettuale e culturale.

 
 

 

 
Imre Makovecz
Távlati kep/Padiglione d'esposizione a Londra
 
 
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