INTERVISTA CON CLARA BONFIGLIO

Questo dialogo è il risultato di una conversazione telematica tra l’artista Clara Bonfiglio e la curatrice Sarah Cosulich Canarutto nella quale sono stati discussi e commentati alcuni aspetti della nuova mostra Macramè.

Sarah C. Canarutto:A quanto sembra, il tuo lavoro è strettamente legato ad una lavorazione di tipo meccanico e quindi, ad un risultato di massima precisione. Il dettaglio con cui tu curi la levigatezza delle superfici e la precisione delle forme comunica un senso di controllo quasi "tecnologico" del materiale. E' curioso quindi notare come tendenzialmente hai lavorato con il legno, elemento tradizionale che spesso si associa al passato, trasformandolo poi in oggetti ‘futuristici’, dai colori sgargianti e dalle superfici lisce e brillanti. Cosa rappresenta per te il legno e come interpreti quest'unione di materiale tradizionale con una tecnica e lavorazione ‘futuristica’?

Clara Bonfiglio: La scelta e l'uso di un materiale, per questi lavori l'MDF, è sempre una sfida tra il materiale stesso (le sue qualità, pregi e difetti) e quello che tu hai in mente che ne risulti. Tecnica e lavorazione che tu chiami 'futuristica' non è altro che l'uso di tecnologie che abbiamo a disposizione. Negroponte ci diceva, agli inizi degli anni '90, che i computer avrebbero avuto una influenza radicale sul modo di vivere grazie alla loro onnipresenza, non solo nella scienza, ma in ogni aspetto della vita. E allora perché non utilizzare uno strumento che ti permette di ottenere un migliore risultato nel minor tempo con un grado di precisione che neppure il più bravo degli artigiani ti sa offrire?

SCC: Io faccio uso dell'aggettivo 'futuristico' per definire la rigorosa definizione e precisa lavorazione del materiale che traspare dal tuo lavoro. Tu, invece, preferisci evitare questa definizione?

CB: Io non userei l'aggettivo 'futuristico' rispetto agli oggetti realizzati. Ho fatto parte, negli anni '80, del gruppo "Nuovo Futurismo", ma il nome del gruppo è stato scelto non tanto per la tipologia e l'uso di determinati materiali (se guardiamo nell'arte e nel design degli anni '60 e 70 si che possiamo definirli 'futuristici'), ma perché il Futurismo è stata l'unica avanguardia storica italiana che si apriva a un "..radicale rivolgimento della cultura e del costume...sostituendo ad una ricerca metodica un'audace sperimentazione nell'ordine stilistico e tecnico" (G.C., Argan). Energia, audacia e vitalità si contrapponevano, agli inizi del secolo, ad un passato, ed erano la chiave per re-inventare e ri-progettare un'arte che invadendo e usando più linguaggi artistici doveva cambiare la vita. L'oggetto colorato e accattivante, ironico e banale che sconfinava dall'arte al design e alla moda, era la risposta, negli anni '80, alla pittura.

SCC: Il tuo lavoro è fondamentalmente figurativo nonostante contenga una sensibilità pittorica astratta molto forte. Quale pensi sia il ruolo del colore nel tuo lavoro e come descrivi il suo rapporto con la forma?

CB: Per quanto riguarda la scelta dell'MDF come materiale (inerte rispetto al legno, meno 'vivo', che risente meno dell'umidità) ti posso dire che sta alla macchia come la tela a un paesaggio.
Questo per dirti che l'occhio va oltre il materiale usato e vede ciò che è:
la FORMA: macchie
il COLORE: una pelle liscia, brillante e omogenea, con nessun valore simbolico né espressivo aggiunto.

SCC: Trovo il concetto di macchia particolarmente stimolante sotto vari punti di vista. In un certo senso, rappresenta una 'forma' ai margini tra figurazione e astrattismo, ed esprime quindi un'ambivalenza molto importante in relazione all'evoluzione del tuo lavoro. Io interpreto la macchia anche come simbolo di casualità e perdita di controllo - quell'imperfezione talvolta inevitabile. Il tuo sembra quasi un gioco ironico, quello di rappresentare un simbolo d'imperfezione attraverso un esecuzione regolare, meccanica e perfetta. E' il trionfo del controllo sulla casualità?

CB: La tua lettura riguardo la scelta della macchia e al significato giocato tra la casualità e il controllo del progetto e della realizzazione la trovo perfetta.
Non è tanto il trionfo del controllo sulla casualità: è sempre quella sfida di cui parlavo prima, una partita che ti giochi con gli elementi che metti in campo.

SCC: Allo stesso tempo, le macchie ricordano gli elementi primari, quelle cellule che costituiscono ogni elemento esistente. Sono tante, moltiplicabili ed ognuna contenente lo stesso codice,simili ma leggermente diverse proprio come dei 'DNA'. Comunicano una moltiplicazione infinita, un codice ripetibile anche al di fuori. Ancora una volta il tuo lavoro suggerisce la correlazione tra arte e scienza, e quindi anche quell'importante legame sperimentativo tra arte e tecnologia.
Dopo aver lavorato in passato con forme strettamente figurative, come interpreti l'idea di macchia nel tuo lavoro?

CB: Per realizzare i primissimi lavori prendevo a piene mani da immagini pubblicitarie: ripulite e ridisegnate diventavano SAGOME di corpi , ma ancora di più erano SUPERFICI piatte e lisce dai colori primari saturi e lucidi. Anche le macchie sono lucide superfici dai colori primari saturi, ottenuti a velatura e sagomati dalla forma intagliata.

SCC: Il messaggio verbale ha un ruolo fondamentale per la tua opera e segue un approccio che io definirei concettuale. In Macramè esso si sviluppa circolarmente, intagliato nel legno in modo preciso ed irregolare al tempo stesso. Ad un primo sguardo ha un effetto decorativo, proprio come il tessuto che dà il titolo alla mostra. Quando, poi, l'osservatore si trova a tentare di decifrare il messaggio, viene messo notevolmente alla prova in un'impresa di tipo 'enigmistico'. Sembra che tu ti diverta a porre lo spettatore di fronte a questo labirinto di parole per poi sorprenderlo con un messaggio del tutto banale. Le parole 'Tuttointorno' non offrono ulteriori elementi di interpretazione dell'opera ma verbalizzano esclusivamente il percorso seguito dallo sguardo durante il tentativo di lettura. E' un gesto ironico ed ambiguo che mette l'osservatore quasi a disagio ma, al tempo stesso, è l'importante intervento di un'artista consapevole delle strategie verbali contemporanee e del ruolo che la scrittura ha avuto nell'arte negli ultimi decenni. Macramè sembra quasi una parodia di una famosa opera di Bruce Nauman intitolata "The True Artist Reveals Mystic Thruths" (1967) nella quale queste parole sono scritte con dei tubi al neon ed in forma di spirale concentrica. Si tratta di un ironico commento di Nauman sulle aspettative del pubblico nei confronti dell'artista e di un'opera che esplora il potere della parola il rapporto all'oggetto. Io trovo che l'intervento testuale in Macramè faccia parte di un tentativo di de-contestualizzazione o meglio di separazione tra oggetto e parola. Così come negli anni Settanta John Baldessari giustapponeva fotografie con testi che non avevano nessuna relazione con le immagini, tu, Clara, sembri sviluppare questo discorso proponendo delle contrapposizioni nuove, intelligenti ed ironiche. Tu spezzi quello che è l'abituale funzionamento mentale (testo vs. immagine) giustapponendo l'oggetto con un messaggio che non riflette l'oggetto stesso ma il gesto svolto dallo sguardo. E' così che il tuo lavoro significa anche trasformazione di forme immobili e perfette in un scambio interattivo ed un momento di confronto tra opera e spettatore. Allo stesso tempo, è molto interessante il fatto che in Macramè il testo è espresso come spazio intagliato e quindi negativo. Nel gioco di rapporti tra pieni e vuoti noi, di fatto, leggiamo il nulla. Come interpreti il ruolo della scrittura nel tuo lavoro? E come pensi che la parola scritta influisca sulla percezione dell'oggetto in generale?

CB: Nell'accezione classica il macramè è una sorta di trina ottenuta per mezzo di fili intrecciati e lavorati, che serve per guarnizioni; 'volgarmente' per macramè si intende qualsiasi ricamo che ha a che fare con un'idea di intaglio. Intagliare significa togliere, e togliere su una superficie è bucare con la consapevolezza che anche il vuoto può essere 'concreto'.
Il mio lavoro è li, in quel che ho tolto.
Quello che ho tolto ha la forma di una scritta che, giustamente tu dici, non riflette l'oggetto ma il gesto svolto dallo sguardo.
Penso che chi fruisce l'arte possa cambiare l'approccio con il lavoro che 'ha davanti', possa guardare anche con un'altra ottica, un'altra logica, altri metodi.

SCC: Devo ammettere che la relazione nel tuo lavoro tra parola e significato riferito mi ha ricordato le teorie di Walter Benjamin per cui "...esiste solo ciò che è esprimibile per mezzo del linguaggio". Cos'è per te la parola? E, secondo te, che cosa viene prima: concetto o parola?

CB: La scrittura, prima ancora di essere senso è forma.
Quindi se per parola intendi la scritta, questa fa parte, determina la forma dell'oggetto stesso.
Il concetto, il senso della parola, quello che tu chiami messaggio, è volutamente 'del tutto banale', scontato perché non è lì che chi guarda deve fermarsi.

SCC: Di una cosa sono certa. Per quanto astratte le tue forme possono diventare, il tuo lavoro resta profondamente figurativo. Il tuo uso della scrittura, infatti, comunica una realtà concreta, un gesto, un espressione, una reazione quotidiana.
Cos'è per te l'arte? Forma di espressione o strategia comunicativa che sconvolge i codici di riferimento?

CB: La storia dell'arte mi ha insegnato che l'arte è dare forma ad una idea.
E il più delle volte l'idea è la trasgressione e lo sconvolgimento dei codici di riferimento.
Ho visto tante rappresentazioni di 'Madonna col Bambino', ma il COME, la forma che le rende tutte diverse, mi ha sempre portata oltre la rappresentazione del tema, spesso imposto, e mi ha sempre trovata a dovermi confrontare con le idee dell'artista in questione.

 

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