Trieste Contemporanea novembre 2000 n.6/7
 

 La nuova nozione di patrimonio culturale
 I giudizi di Jean Loius Luxen,
 segretario generale dell’Icomos
Anche una foresta sacra diventa monumento

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di Alessandra Knowles

Le Carte precedenti sono state organizzate direttamente dall’ICOMOS (International Council on Monuments and Site - Bruxelles Belgio) mentre questa conferenza internazionale nasce ufficialmente dall’iniziativa di accademici e specialisti con il sostegno dell’ICOMOS. Che significato attribuisce a questo fatto?

Quando l’ICOMOS fu fondata nel 1965, con il sostegno dell’UNESCO con il quale condivide l’interesse per il valore della cultura e per una cultura di pace, era l’unica organizzazione internazionale che operava in questo campo, dal momento che nella maggior parte delle nazioni non esistevano strutture finalizzate all’amministrazione del patrimonio. Oggi, trentacinque anni dopo, la situazione è completamente mutata. La conservazione è una disciplina riconosciuta in ambito scolastico, politico e amministrativo, si sono costituite numerose nuove organizzazioni internazionali e vengono organizzate regolarmente conferenze sul restauro in tutto il mondo. Per quanto riguarda la Conferenza Cracovia 2000, l’iniziativa è nata dalle università, in particolare dal Politecnico di Cracovia, che hanno deciso, in collaborazione con altre università europee e con il sostegno del Comitato Nazionale Polacco ICOMOS, di promuovere un programma per valutare la situazione trentasei anni dopo la Carta di Venezia. Tuttavia la sua domanda è molto importante perché una delle difficoltà di questa conferenza riguarda lo status del documento finale. In generale, e non soltanto per quanto riguarda Cracovia, suggeriamo di presentare una dichiarazione, un documento o una risoluzione, come è avvenuto per il Documento di Nara che, come lei ben sa, ha affrontato temi di grande importanza. Mi rendo conto che i nostri colleghi polacchi desiderino che questa sia un carta, ma in questo caso si tratterebbe solamente della carta di Cracovia e non, temo, di una carta ICOMOS che invece si prefigge di avere valenza universale e richiede una procedura molto lunga, cosa che qui non si sta verificando. Non si può chiedere a qualcuno di adottare un testo senza dargli il tempo di analizzarlo e modificarlo, né può il dibattito essere limitato alle sole Europa Centrale e Italia, come mi sembra stia avvenendo qui. Leggeremo le conclusioni e le faremo circolare ma non sarà una carta ICOMOS.

Questa conferenza sta fissando nuovi importanti fondamenti quali l’ampliamento del concetto di patrimonio culturale in modo da includere sia il patrimonio tangibile che quello intangibile. Dal punto di vista di un’organizzazione internazionale impegnata nella protezione del patrimonio culturale in che modo questo ampliamento influisce sulla scelta di ciò che deve essere conservato?

Per quanto ci concerne siamo professionisti del patrimonio fisico perciò quando ci riferiamo alla sua dimensione intangibile ci assicuriamo che comunque questa rimanga legata a monumenti e siti. D’altra parte è molto importante non considerare soltanto il valore estetico e storico di un edificio ma di cercarne il significato umano per la comunità, dal momento che proprio in questo aspetto si concretizza la funzione del patrimonio, nel trovare cioè le nostre radici e nel definire la nostra identità. Come professionisti tuttavia abbiamo anche il dovere di sottolineare che la nostra identità non è etnica e che il patrimonio è il risultato di reciproche influenze artistiche e culturali e di scoraggiare l’attribuzione di una qualsiasi connotazione sciovinistica al concetto di identità culturale. L’ampliamento del concetto di patrimonio acquista un’importanza fondamentale proprio nella necessità di rispettare culture diverse. Oggetti di conservazione che possono apparire irrilevanti agli occhi di un europeo, per esempio una foresta sacra, rivestono invece una grande importanza in Africa dove non vi sono monumenti in pietra come da noi. Credo vi sia tuttavia la necessità di una classificazione, della formulazione di una qualche gerarchia, perché aumentando il numero di beni da proteggere diventa impossibile finanziarli tutti. Un possibile criterio di selezione è il valore attribuito a un monumento sulla base della sua rilevanza culturale per una comunità, una regione, una nazione o l’intero mondo. Logicamente esiste il rischio di cadere in una specie di “elitismo”, il che rende molto arduo il compito delle giurie, ma credo sia necessario rimettere la responsabilità della salvaguardia nelle mani della comunità per la quale quel dato monumento è particolarmente significativo.

Quando si allarga il concetto di patrimonio culturale fino a includere paesaggi e città storiche, in altre parole luoghi vissuti, questa nozione dovrebbe essere trasmessa al pubblico perché in quest’ambito il suo ruolo diventa sempre più importante sia come turista che come abitante. Come può essere colmata la distanza tra il pubblico e le organizzazioni internazionali ed accademiche?

È una questione difficile, un processo molto lungo. Fin dal 1976 il turismo è stato motivo di preoccupazione per l’ICOMOS che all’epoca stilò un primo documento sull’argomento. Ventitre anni più tardi è stata adottata una nuova carta aggiornata che mette in luce la portata universale di questo problema. La questione è come promuovere questa carta. Crediamo fermamente che lo si debba fare in collaborazione con l’industria turistica, le agenzie e gli operatori turistici. Siamo in stretto contatto con l’Organizzazione Mondiale per il Turismo e in veste di professionisti possiamo parlare con loro, esprimere le nostre preoccupazioni e suggerire delle misure pratiche. Cerchiamo anche di lavorare con i governi e i comuni e logicamente credo si debbano usare i mezzi di comunicazione, i giornali e i programmi televisivi. Siamo attualmente coinvolti, sebbene non si tratti di un’iniziativa ICOMOS, con il Consiglio d’Europa nella stesura di una specie di Carta del Visitatore che ha lo scopo di fornire delle linee di buona condotta turistica.
 

 

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