Trieste Contemporanea novembre 2000 n.6/7
 

 I perché di un nuovo documento sul restauro
 secondo Sherban Cantacuzino,presidente del comitato
 nazionale Icomos per la Gran Bretagna
Oltre la dimensione estetica

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di Alessandra Knowles

Perché crede si sia sentita la necessità di aggiornare la Carta di Venezia?

Penso che la Carta di Venezia sia piuttosto restrittiva per noi oggi, dal momento che si occupa del restauro di monumenti da parte di architetti-restauratori. Un’intera gamma di nuovi valori si è venuta delineando in questi ultimi trent’anni, da quando cioè è stata stilata la Carta di Venezia, valori che sottolineano la dimensione socio-antropologica e internazionale del patrimonio che riguarda la società nella sua globalità, e che non possono essere giudicati esclusivamente in termini estetici e storici.

Quali delle nuove nozioni introdotte nella Carta di Cracovia 2000 rivestono, a suo avviso, particolare importanza?

Prima fra tutte, credo, la nuova dimensione acquisita dal concetto di patrimonio culturale. Ci siamo spostati dal singolo monumento a qualcosa di molto più ampio: città intere, quartieri, siti di edifici, spazi fra gli edifici, paesaggi, il patrimonio intangibile di significati, idee, musica, danza associati chiaramente al costruito. Penso vi sia anche un maggiore rispetto per i valori, o meglio per la pluralità di valori. Inoltre, nel corso degli ultimi trent’anni si è venuta formando la consapevolezza dell’importanza dell’autenticità, un concetto che la Carta di Venezia non affronta, almeno per quanto riguarda i molti tipi di autenticità possibili. In Giappone, per esempio, l’autenticità strutturale non costituisce un presupposto fondamentale: gli edifici vengono regolarmente ricostruiti nel pieno rispetto però dell’autenticità delle tecniche e delle tradizioni. Questo tipo di conservazione porta il patrimonio fuori dalla sfera del tangibile e in quella dell’intangibile per cui esso è autentico in quanto processo e non in quanto prodotto. Il nuovo documento registra questa fondamentale espansione del concetto di patrimonio, anche se non in maniera molto specifica nel caso che ho riportato.

Crede che la Carta di Cracovia sia riuscita a liberarsi dell’approccio eurocentrico che secondo molti caratterizza la Carta di Venezia?

Questo a mio avviso costituisce un problema perché mi auguravo potesse avere una valenza mondiale. Tutti coloro che vi hanno lavorato sono europei e la carta è diventata automaticamente, senza che forse nessuno se ne rendesse conto, europea. La mia sensazione è che sia rimasta eurocentrica, e questo è il motivo della mia parziale insoddisfazione. Credo tuttavia che si sia trattato di un tentativo di tutto rispetto.
 

 

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